Essere attraversata dall’energia incontenibile, quella che straborda da ogni lato.
Mi fa stare bene fissarti negli occhi e assimilare tutta la forza mischiata al dolore.
Mi fa stare bene lasciarmi colpire tutt’un tratto dalla musica popolare anche se, non capisco tutte le parole. Mi sento appartenente a qualcosa, che non so nemmeno io cos’è.
Quella voce, che in Quella canzone, fa ripensare a Pino, perché il mare lo sappiamo, lo respiriamo, lo viviamo ma MAI fino in fondo, mai.
Mi fa stare bene pensare a quella sensazione vibrante del vento che accarezza ogni respiro.
E manca allo stesso tempo l’aria, che blocca i pensieri cattivi. Li lascia andare, accoccolati, uno sopra l’altro, si affollano e poi si sgretolano tra le note del tamburello impazzito.
I capelli neri, le gonne lunghe, gli strumenti salvi da ogni agonìa, e poi il sorriso dolce, le mani che si uniscono per forza, non le puoi tenere ferme.
E i piedi? Quelli che ne sanno di cosa “teniamo in corpo”, di quello che stiamo provando ad ogni battito del cuore. Che ne sanno di come sono impazziti per sopravvivere alla sopraffazione che lascia libero il canto. Siamo a Taranto, ma siamo a Napoli, siamo al centro del mondo, siamo nascosti. Siamo vivi.
Una sirena, due, tre, quattro, su di un solo palco. LA NIÑA e la sua band. Tutto tranne che “piccola”, immensa cantatessa di sopraffine emozioni, che nascono dalla terra, da un giardino, dalla Terra, dal soffitto, da una casa, da un viaggio, da un incontro.
Respira. Che io da ieri ancora non mi riprendo.
Respira che ancora non è possibile voler uscire da un loop così potente.
Respira.