c'mon tigre

C’mon tigre, incasellabili

C’mon tigre, in un live qualunque, diventano tigri della Malesia.

Tra il caos e i colori di una musica mai sentita prima. Un incontro di culture, suoni e sentimenti contrastanti. 

La testa che prima ondeggia e poi riprende un ritmo incalzante, sospirano i capelli, soffiano i pensieri verso il mare. Il mare di Monopoli per l’esattezza, in provincia di Bari. In una sera d’estate che ricordo ancora così bene.

Ho visto ondeggiare corpi, capelli e mani. Seguivano ritmi loro, strani, tutti diversi. Ho visto le dita sbucciarsi, le gocce di sudore crollare sulle basette, e tante sigarette risucchiate a tempo. 

Un viaggio impeccabile, a tratti impossibile da dimenticare. Una musica tigre sulla quale torno a scriverne dopo mesi. Sento ancora potente l’energia. Quegli elastici per capelli colorati, gli orecchini tondi e squadrati delle ragazze che non avevano paura di rimanere incollate al palco che era più una piazza. 

Una piazza in cui tutti si sentivano accolti. Tutti sono ben accetti. In quella piazza lì puoi essere chi sei. Niente nomi, solo musica fino a stare bene. E poi incespichi in colori forti, caldi, pieni di tinte passionali. Di quelle legate alla terra, agli animali perduti nei boschi, alle tigri, dai. Che cosa vuoi che sia.

La loro musica ti porta all’inaspettato, non sai mai davvero cosa può succedere nel susseguirsi delle note successive. Tutto ritorna a vibrare a modo proprio, ma una logica c’è.

Una logica ben disegnata, in un progetto che non vuole portare etichette, non è soggetto a delle logiche preimpostate. Per qualche ora c’ho creduto davvero.

Una manciata di minuti in cui, una città del sud Italia, diventa il fulcro di verità senza mezzi termini. Io c’ho creduto. C’ho rivisto le mie serate bolognesi, all’Università, in cui importava solo essere, che l‘apparenza poi, se la possono costruire tutti.

Mi è sembrato di vivere soltanto di musica e acqua. Faceva caldo, tanto caldo, era il 31 agosto, ma non importava mostrarsi sudati, eravamo già oltre quell’imbarazzo lì, dal primo brano.

Uniti poi, senza conoscerci, in quello che sarebbe diventata una scoperta eccezionale. Per chi li conosceva già, tanti sorrisi compiaciuti, per chi fino a quel momento non sapeva della loro esistenza, solo tanta meraviglia. Ancora negli occhi quel bagliore, quella frenesia, di vivere d’estate.

Di vivere l’estate come stato d’animo.

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